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I Giuseppi

Adesso che, a quanto pare, un altro Giuseppe (Joseph detto Joe) sta per diventare Capo di Governo – e dello Stato, nel suo paese – voglio tornare sulla pronuncia trumpiana “giuseppi”.

Le parole inglesi polisillabiche in cui la e finale si pronuncia sono poche e quasi tutte di origine straniera, come l’italiano salame, lo spagnolo adobe (un materiale per costruzione tipico del New Mexico e gli edifici costruiti con esso), il latino recipe (ricetta di cucina) e gli Apache, il gruppo etnico nordamericano. In tutte, la e finale si pronuncia abitualmente come /i/.

Da noi è circolata per tanto tempo (e in alcuni sopravvive) la pronuncia “alla francese” di Apache (apàsc), usata anche per il cognome di Don Ameche (1908-1993), attore brillante americano. Al “Musichiere”, programma Rai ancora in bianco e nero, spiegò che il suo vero cognome era Amici e aveva scelto quel nome d’arte proprio perché lo pronunciassero “all’italiana”. Quindi negli USA e altrove era /amici/ mentre proprio da noi era “amèsc”!

P.S. Il seguito di questo articolo è qui: https://deiporcellinonsibuttaniente.wordpress.com/2020/12/18/i-giuseppi-2/

Come eravamo… e come ero io.

Nata come passatempo narcisistico durante il lockdown, la riscrittura della mia tesi di laurea in formato elettronico si è rivelata un’operazione meno banale di quanto pensassi. Nelle 230 cartelle dell’originale cartaceo ho riscoperto una documentazione approfondita e puntuale dello stato degli studi fonologici sulla lingua inglese alla fine degli anni ’50. “Approfondita e puntuale” non me lo dico da me ma è come l’hanno giudicata coloro che a suo tempo (1962-63) l’hanno seguita e poi valutata, ritenendola degna della lode.

Per questo l’ho messa a disposizione di chi volesse darle un’occhiata, nell’ambito di quegli studi di linguistica e glottodidattica in prospettiva storica a cui si dedicano ora un certo numero di studiosi. Grande assertore dell’importanza di una prospettiva storica è stato uno dei miei Maestri, che qui mi piace ricordare: il prof. Renzo Titone (1925-2013).

La versione attuale è, per scelta, il più possibile aderente all’originale, con tutti i limiti e problemi descritti nella Premessa all’edizione 2020 e in alcune note finali aggiunte per l’occasione. Se la salute e la voglia reggeranno, vi potrà essere una nuova edizione con tutte le revisioni del caso. Devo decidere se sarà ancora in italiano oppure – come avrei preferito già 60 anni fa, in inglese.

Il pdf è liberamente consultabile e scaricabile senza alcuna profilazione o altro. Il link è http://www.gporcelli.it/libri/TesiGP63.pdf.

Oltre alla riscoperta del “come eravamo” c’è stata una riscoperta di come ero io: già terribilmente pignolo e prolisso – più di quanto non lo fossi in seguito, col passare degli anni e col maturare dell’esperienza come autore. Soprattutto, mi sentivo già insegnante fino al midollo anche se la tesi l’avevo quasi pronta prima ancora di fare le primissime esperienze – che non furono come prof di inglese ma come maestro elementare. Peraltro, nell’estate del 1961, fra il terzo e il quarto anno di università, uno dei due mesi trascorsi a Londra lo passai frequentando un “Course for Teachers” a cui ero stato ammesso anche senza laurea – per fortuna gli inglesi erano (e forse sono tuttora) meno legati di noi all’idea del “pezzo di carta”.