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Un piccolo, personale frammento di Storia

Per decenni avevo infilato in un cassetto cartoline e buste della posta in arrivo: più spesso, le porzioni di esse con i francobolli, che conservavo per riprendere a sistemarli nella collezione che avevo iniziato da ragazzo. Avevo dimenticato che cos’altro ci fosse lì dentro in origine e quando ho finalmente controllato tutto il contenuto ho avuto la sorpresa di trovarvi due croci al merito di guerra: una, con il monogramma di re Vittorio Emanuele III, del mio nonno materno che aveva partecipato alla I Guerra Mondiale; e una di mio padre, reduce dalla II Guerra Mondiale, con il monogramma della Repubblica Italiana – la quale evidentemente riconosceva i meriti anche di chi, come lui, aveva indossato la divisa del Regio Esercito.

Il ritrovamento più interessante riguarda alcune cartoline del 1940. In realtà, la storia che esse raccontano è una vicenda come tante, che però si colloca nel momento in cui l’Italia entra in guerra, affiancandosi a Germania e Giappone.

La prima che ho trovato raffigura la nave Roma, che percorreva la rotta Napoli-Mogadiscio. In un primo momento ho pensato che mio padre l’avesse spedita andando in Somalia – dove sapevo che era stato col Battaglione Universitario “Curtatone e Montanara” – ma il raffronto delle date ora mi fa pensare piuttosto al viaggio di ritorno: infatti era il momento in cui l’Italia era entrata in guerra e buona parte delle truppe coloniali veniva spostato per difendere il suolo della madrepatria. Inoltre la corrispondenza successiva, come vedremo, me lo fa ritrovare nel nord della Sardegna già verso la fine dello stesso mese.

Oltre alla data, 2 giugno 1940, la cartolina reca solo la firma di mio padre. Primogenito di otto figli, la mamma, di madrelingua inglese, lo chiamava “Baby” e quello fu per tutti il suo nome, in famiglia e con gli amici. Da militare era il Capitano Porcelli, poi sul lavoro era il Dott. Porcelli e il suo vero nome di battesimo, Pasquale, in pratica non lo usava nessuno e compariva solo sui documenti e negli indirizzi delle lettere formali.

L’indirizzo sulla cartolina è quello della casa dove i miei andarono ad abitare dopo le nozze (5 aprile 1939). Non so se la sola firma, senza altro testo, fosse dovuta all’affrancatura minima (dieci centesimi di lira). Ho precisi ricordi sul fatto che per anni sulle cartoline si potevano scrivere solo poche parole di saluti, a meno di affrancarle come lettere. E ho ritrovato anche i francobolli “segnatasse” che venivano applicati alla corrispondenza affrancata con un importo insufficiente – tasse che il destinatario era tenuto a corrispondere al postino al momento della consegna. Può anche darsi che la sola firma fosse sufficiente a racchiudere tutto quanto un giovane sposo può desiderare di comunicare alla moglie – così come oggi a molti innamorati basta rendersi presenti con uno squillo del cellulare.

Mi ha sorpreso trovare l’uso della lingua inglese, sotto quel regime (che stramalediceva gli inglesi anche nei programmi radiofonici) e in quel momento particolare. Oltre a Italian Line che campeggia in alto, si noti S.S. (ossia SteamShip) davanti a “Roma” e, al centro, “Published by the Italian Line”.

L’annullo postale è solo parzialmente leggibile ma ritengo che sia “Napoli Ferrovia”. Una conferma indiretta è data dalla cartolina postale di “ben tornato” che il comando militare di Napoli dava ai reduci perché potessero comunicare in quale Centro alloggio si trovavano. Oltre all’affrancatura pre- stampata di £. 1,20 ci sono due francobolli, per un totale di tre lire.

Subito dopo ci sono due cartoline, entrambe da Ploaghe (SS), entrambe affrancate con cent. 20, indirizzate in Viale Abruzzi e con testi di tre parole. Quella datata 25 giugno dice “Da quel paese” e viene da pensare che sottintendesse una specificazione non proprio carina per quel paese di…, quella località piccola e sperduta dove era costretto a restare per servizio. Il testo della seconda, “Sempre con voi”, potrebbe contenere un accenno al figlio in arrivo. Come scriveranno i miei biografi (?!), è la prima attestazione della mia presenza.

Dai racconti che mi erano stati fatti da ragazzo so infatti che mia madre aveva raggiunto mio padre a Ploaghe ma il Maggiore medico del battaglione era un ginecologo (… giustamente!) e a un certo punto si era accorto che io avrei combinato guai già al momento di nascere; quindi mia madre col pancione e in piena guerra prese autobus, nave e treni e tornò a casa. Così fu che nacqui a Milano il febbraio successivo: se fossi nato a Sassari, mia madre avrebbe trovato come ostetrica una zia di colei che una trentina d’anni dopo sarebbe diventata mia moglie,

L’ultimo “pezzo” di questa storia è una cartolina di Olbia, datata 18 agosto, di nuovo con la sola firma e il francobollo da cent. 10.

La notizia più significativa per me è che la cartolina è stata spedita all’indirizzo dei miei nonni materni – dove io stesso sono stato per vari periodi, in particolare quando frequentavo la scuola elementare nella stessa via Rasori – e non più in V.le Abruzzi, dove non ho mai messo piede. Probabilmente nel frattempo i miei avevano lasciato quell’appartamento e in seguito si sarebbero trasferiti in quella che fu casa mia fino al mio matrimonio, non lontano dai nonni materni.

La storia legata a quelle cartoline è tutta qui. Mia madre e io andammo poi in Sardegna quando avevo pochi mesi e in effetti la situazione là era molto più tranquilla che a Milano, abbondantemente bombardata, e rispetto alle zone che videro gli sbarchi degli “Alleati” come la Sicilia e le coste del Tirreno continentale. Non ho ricordi di quel periodo perché le mie memorie più remote mi riportano a Milano nel periodo ’44-45. Mio padre non si presentò al reclutamento della Repubblica di Salò e visse quel periodo come latitante. Abitavamo nella casa di via San Michele del Carso che fu la mia abitazione fino al 1970, quando mi sposai, e di mia madre fino al 1973, quando morì. Ricordo rumori di sparatorie (un partigiano, Mario Greppi, venne ucciso a due metri dal negozio dove stavamo facendo la spesa) e tante macerie. Ricordo treni stracolmi di gente che sfollava quando poteva – anche noi andavamo vicino a Como dove i miei nonni paterni avevano un appartamento. Ricordo donne che guidavano il tram perché gli uomini erano al fronte o prigionieri o deportati, e grappoli di persone aggrappate all’esterno perché di tram ce n’erano pochi e solo pochi ricchi avevano l’automobile. Ricordo gli scantinati dove ci si rifugiava quando suonava l’allarme aereo. Ricordo tante cose che vorrei tanto non rivedere ancora oggi al telegiornale.

Lancaster 1984

Un altro ricordo stanato tra le vecchie cose: la foto di gruppo alla fine del primo corso del British Council sul Computer nella Ricerca Linguistica e nella Didattica delle Lingue (Università di Lancaster, settembre 1984). Davanti a me il tutor principale, John Higgins; alla sua destra il direttore del corso, il linguista Geoffrey Leech.

Un altro tutor, con il quale ricordo di avere dialogato a lungo sul testing, è Gerry Knowles, il quarto da sinistra nella prima fila. Il primo a destra della terza fila è il tedesco Dieter Wolff, che in seguito si è occupato parecchio di CLIL. Ecco l’elenco completo dei nomi:

Civiche scuole serali e festive – Milano

Menzione

Oggi ho ritrovato – e passato allo scanner – la Menzione Onorevole che mia madre ricevette nel 1929 come allieva di una Scuola Festiva del Comune di Milano, a indirizzo commerciale. Oltre alle scuole serali, che sono durate fino a pochi anni fa, prima della Seconda Guerra Mondiale c’erano anche le scuole domenicali.
Il Comune, in Italia, non ha il compito istituzionale di gestire scuole ma Milano l’ha fatto per tanto tempo. Quando insegnavo io (dal 1964-65 fin verso la fine degli anni ’80) quelle scuole attiravano gli insegnanti più qualificati – perché pagavano meglio delle private – e facevano da calmiere nei confronti dei corsi gestiti da privati. Venivano prese d’assalto al momento delle iscrizioni: la prima sera bisognava chiamare i “ghisa” perché tenessero in ordine la fila. Del resto, chi non vorrebbe una scuola migliore a prezzi nettamente inferiori?
Gli allievi arrivavano stanchi da una giornata di lavoro ma con tanta, tantissima buona volontà. E i risultati si vedevano.